SMART WORKING ALL’ESTERO. L’ITALIANO CHE DECIDE DI LAVORARE IN SMART WORKING ALL’ESTERO, PER LO STESSO DATORE DI LAVORO ITALIANO, DOVE SARÀ TENUTO A PAGARE LE IMPOSTE E CONTRIBUTI?

SMART WORKING ALL’ESTERO. TRATTAMENTO CONTRIBUTIVO.

A livello europeo, in relazione allo smart working, risultano vari interventi, sia per quanto riguarda l’aspetto contributivo, sia quello fiscale. Infatti, secondo l’art. 11 del Regolamento n. 883/2004 e l’art. 13 Regolamento n. 1408/71 il lavoratore deve essere assoggettato alla legislazione previdenziale dello Stato dove svolge effettivamente l’attività lavorativa, con conseguenti obblighi di versamento della contribuzione agli enti dello Stato estero.

Costituisce deroga dal citato principio di territorialità il solo distacco (previsto dall’art. 14. par. 1. lett. a) del Regolamento n. 1408/71), ed è prevista la possibilità di mantenere e richiedere l’assoggettamento del soggetto distaccato a contribuzione in Italia, per una durata massima di 24 mesi (con possibili proroghe).

Lo smart working non è però situazione analoga al distacco. Potrebbe, pur trattandosi di fattispecie giuridicamente diversa, avvicinarsi al telelavoro, in relazione al quale l’INPS, con Messaggio n. 9751/2008, determinava una possibile deroga dal principio di territorialità, previa autorizzazione e quindi il mantenimento dell’obbligo di contribuzione in Italia. Per analogia, si potrebbe quindi applicare allo smart working la previsione relativa al telelavoro, nel caso in cui si trattasse di un Paese europeo.

Nel caso di paesi extracomunitari, non convenzionati o parzialmente convenzionati si renderebbe necessaria l’apertura di una posizione previdenziale ad hoc per il versamento su retribuzioni convenzionali (L. 398/87).

Mentre gli infortuni occorsi al lavoratore in smart working all’estero potrebbero non essere coperti dal rischio, in quanto il soggetto si trova all’estero per motivi personali e non connessi alle esigenze del datore di lavoro come nel caso della trasferta o distacco.

Per tale ragione, seppur continuando a prestare attività per il datore di lavoro italiano e nel suo esclusivo interesse, prevale il concetto di territorialità legato al luogo di effettivo svolgimento del lavoro, anche se in realtà trattatasi solo di diversa modalità di svolgimento dell’attività, cioè in smart working.

SMART WORKING ALL’ESTERO. TRATTAMENTO FISCALE.

Nel caso dello smart working potrebbe essere messo in discussione il luogo della residenza fiscale che potrebbe non coincidere con la residenza anagrafica, soprattutto quando l’attività prestata all’estero risultasse prevalente o quando il centro dei propri interessi risultasse anche esso all’estero.

Secondo le Convenzioni contro le doppie imposizioni, generalmente il soggetto è tassato nel luogo di svolgimento della prestazione lavorativa ovvero dove risulta fisicamente presente, anche nel caso in cui i risultati della prestazione lavorativa siano utilizzati in un Paese diverso da quello in cui l’attività è materialmente svolta (Risposta interpello n. 296/2021).

Per tale ragione deve essere tassato in Italia anche il dipendente di società estera che ha svolto l’attività in smart working bloccato in Italia dalla pandemia (Risposta interpello n. 626/2021).

Nel caso di lavoratori distaccati all’estero, residenti in Italia che hanno svolto l’attività in smart working in Italia, l’Agenzia delle entrate, con le risposte nn. 345/2021, 458/2021 e 590/2021 ha negato l’applicabilità delle imposte sul reddito convenzionale (al fine di evitare le doppie imposizioni), in quanto è venuto meno il presupposto della prevalenza dello svolgimento dell’attività lavorativa all’estero, che non è stato prestato in via continuativa e come oggetto esclusivo dell’attività lavorativa all’estero avendo lavorato in smart working in Italia per più di 183gg.

In relazione all’applicazione del regime fiscale per gli impatriati il presupposto di applicazione è lo svolgimento prevalente dell’attività nel territorio italiano. Nel caso in cui in uno degli anni per i quali spetta l’agevolazione il lavoratore si trovasse a svolgere attività prevalentemente all’estero, secondo l’Agenzia verrebbe meno l’applicazione per quell’anno, sebbene non decada dal beneficio (Circ. 17/E/2017).

L’Agenzia delle entrate, con risposta all’interpello n. 621/2021, richiamando l’art. 16 comma 1 del D. Lgs 147/2015, sostiene che l’agevolazione si applichi solo in relazione a redditi prodotti in Italia e considerando il lavoro in smart working all’estero come reddito prodotto all’estero lo esclude dall’applicazione dell’agevolazione. Posizione naturalmente censurabile quest’ultima.

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