- RESIDENZA IN PAESI BLACK LIST.
- COME DEVE ESSERE STABILITO L’UFFICIO TERRITORIALMENTE COMPEPENTE AD ACCERTARE MAGGIORI REDDITI IN CAPO A SOGGETTI RESINDENTI IN PAESI BLACK LIST?
L’avviso di accertamento deve essere emesso, a pena di nullità, dall’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competente. Per tale ragione è essenziale verificare se l’Ufficio che ha proceduto all’accertamento è stato effettivamente quello competente. Come viene stabilito la competenza dell’Ufficio nel caso particolare in cui il contribuente risulta iscritto all’AIRE e risiede in un Paese Black List?
“In caso di contribuente residente in Paesi a fiscalità privilegiata, ove l’Ufficio non contesti la residenza del contribuente, la competenza dell’Ufficio che procede all’accertamento del reddito si determina, al pari di qualunque cittadino non residente in Italia, in base al Comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più Comuni, in quello in cui è stato prodotto il reddito più elevato, senza che abbia rilievo l’eventuale domicilio fiscale dichiarato dal contribuente per i redditi prodotti in Italia”.
FATTO
La contribuente risultava iscritta all’AIRE e residente nel Principato di Monaco. L’Agenzia delle Entrate di Prato, luogo di elezione di domicilio della contribuente indicato nella dichiarazione dei redditi, emetteva avviso di accertamento in relazione al periodo d’imposta 2007, con il quale, a seguito di indagini finanziarie eseguite in relazione a un conto corrente acceso in Italia ed all’utilizzo di carte di credito intestate a società di cui la contribuente era socia e amministratrice, richiedendo il pagamento della maggiore imposta IRPEF, addizionali e sanzioni.
La contribuente ha impugnato l’accertamento, eccependo tra l’altro, l’incompetenza dell’Ufficio che aveva proceduto all’accertamento, essendo l’ultima residenza della contribuente indicata in Firenze. La CTP di Prato ha respinto il ricorso e la CTR della Toscana ha rigettato l’appello della contribuente, ritenendo che la competenza per gli accertamenti in Italia di soggetto residente nel Principato di Monaco dovesse determinarsi in base alla residenza fiscale indicata dalla contribuente in Italia nella dichiarazione.
La contribuente ha proposto ricorso per cassazione, deducendo con il primo motivo che la competenza per l’accertamento dei maggiori redditi spetta all’Ufficio distrettuale ove si trova il domicilio fiscale e che, a termini dell’art. 58 DPR. ult. cit., i cittadini italiani residenti in Paesi di fiscalità privilegiata ex art. 2, comma 2-bis DPR 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) hanno il domicilio fiscale nel comune di ultima residenza nello Stato, che nella specie sarebbe il Comune di Firenze. Sotto un secondo profilo la contribuente deduce altresì che la competenza per i contribuenti non residenti, ancorché residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, dovrebbe individuarsi nel Comune di produzione del reddito o, in ogni caso, nel luogo di produzione del reddito più elevato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La Corte riteneva fondato il citato motivo, in quanto, secondo l’art. 31, secondo comma, DPR n. 600/1973: “«la competenza spetta all’ufficio distrettuale nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del soggetto obbligato alla dichiarazione alla data in cui questa è stata o avrebbe dovuto essere presentata», individuato a sua volta, a termini dell’art. 58, secondo comma, d.P.R. n. 600/1973, in virtù del Comune di residenza anagrafica («Le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte»)”.
Il legislatore equipara ai contribuenti persone fisiche residenti in Italia anche le persone fisiche nei cui confronti l’Amministrazione finanziaria abbia accertato, benché non residenti, che abbiano avuto in Italia «per la maggior parte del periodo di imposta» il domicilio, inteso come la sede dei propri affari (art. 2, comma 2, TUIR), riconoscibile ai terzi (Cass., Sez. V, 4 maggio 2021, n. 11620). Per tale ragione la competenza territoriale degli uffici viene stabilita in relazione alla residenza del contribuente, di diritto o di fatto a termini dell’art. 2, comma 2, TUIR.
“Per tutti questi contribuenti persone fisiche, residenti in Italia o di cui si accerti la residenza fiscale in Italia, si rende applicabile il principio della tassazione in Italia e al conseguente pagamento delle imposte in Italia sui redditi ovunque conseguiti (worldwide income taxation principle), vuoi perché formalmente residenti in Italia, vuoi perché sia accertata in Italia la residenza fiscale ex art. 2, comma 2, TUIR in base a uno dei tre alternativi criteri previsti da tale disposizione e, quindi, in costanza di una fittizia residenza all’estero del contribuente (Cass., Sez. V, 22 giugno 2021, n. 17849).
Per i cittadini non residenti, o per i quali l’Ufficio non ritenga di accertare la residenza in Italia, si applica il diverso principio della tassazione del solo reddito prodotto in Italia (cd. principio della fonte o source principle), la cui competenza per l’accertamento spetta all’Ufficio distrettuale del Comune in cui è stato prodotto il reddito, ovvero a quella del Comune dove è stato prodotto il reddito più elevato (art. 58, secondo comma, d.P.R. n. 600/1973).
A tali disposizioni si aggiunge l’art. 2, comma 2-bis TUIR, introdotto dall’art. 10 l. 23 dicembre 1998, n. 448, il quale prevede che «si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale».
Tale norma, avente finalità antielusiva, non introduce un ulteriore criterio di individuazione della residenza fiscale, ma si limita a invertire sul contribuente l’onere della prova circa la effettiva residenza estera del contribuente, ove egli risieda formalmente in Paesi a fiscalità privilegiata e ove l’Ufficio ritenga che il contribuente abbia conservato la residenza fiscale in Italia.
Non costituendo tale norma un tertium genus di criterio di collegamento tra contribuente e territorio dello Stato, bensì una mera inversione dell’onere della prova circa la residenza all’estero (a carico del contribuente), tale disposizione si applica al solo caso in cui l’Amministrazione finanziaria contesti come fittizia la residenza all’estero (nel Paese a fiscalità privilegiata). Ove, invero, non vi sia contestazione da parte dell’Ufficio della residenza estera, la norma non si applica e il contribuente risulterà residente all’estero, applicandosi il principio della tassazione della fonte di reddito.
Da tale quadro normativo emerge che ai contribuenti iscritti all’A.I.R.E. per i quali l’Ufficio non accerti la sussistenza della residenza effettiva in Italia e per i quali non contesti la residenza al di fuori del territorio dello Stato, si applica il principio della tassazione del reddito prodotto in Italia. Questo principio è applicabile sia ai contribuenti residenti nei Paesi non rientranti in black list per i quali non si accertino i presupposti di cui all’art. 2, comma 2, TUIR, sia ai contribuenti residenti in Paesi a fiscalità privilegiata di cui l’Ufficio non contesti l’effettiva residenza anagrafica e, pertanto, per i quali non si faccia applicazione dell’art. 2, comma 2-bis TUIR.
Tale interpretazione non contrasta con l’ulteriore disposizione dell’art. 10, l. n. 448/1998, cit., che ha introdotto all’art. 58, secondo comma, d.P.R. n. 600/1973 un ulteriore periodo, secondo cui «i cittadini italiani (…) considerati residenti ai sensi dell’articolo 2, comma 2-bis, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, hanno il domicilio fiscale nel comune di ultima residenza nello Stato».
Tale norma si limita a stabilire che, per i contribuenti residenti in Paesi a fiscalità privilegiata di cui l’Ufficio predichi la residenza in Italia (e, quindi, la apparenza della residenza estera) in applicazione 8 di 10 dell’art. 2, comma 2-bis TUIR (quindi, nei casi in cui tale disposizione normativa entri concretamente in gioco), la competenza all’accertamento dei maggiori redditi, ovunque prodotti, spetti in ogni caso – al pari dei cittadini non residenti – all’Ufficio di ultima residenza in Italia.
La norma coniuga il principio secondo cui il cittadino, all’atto dell’iscrizione all’A.I.R.E., recide formalmente i legami con il territorio dello Stato, con il principio della domiciliazione in Italia dei contribuenti residenti in Paesi in black list quale presunzione semplice, domiciliazione che viene individuata nel luogo di ultima residenza anagrafica all’atto della cancellazione dall’anagrafe residenti. Il presupposto dell’applicazione di tale disposizione è che l’Ufficio invochi la presunzione di cui all’art. 2, comma 2-bis TUIR al fine di dedurre la fittizia residenza nel Paese in black list. Se si opinasse diversamente, dovrebbe ritenersi che il cittadino residente in uno dei Paesi in black list sarebbe presuntivamente sempre residente in Italia, laddove la norma viene in oggetto solo ove l’Ufficio contesti la residenza estera del contribuente e invochi, a proprio vantaggio, una norma che inverte l’onere della prova sul contribuente, senza creare un ulteriore criterio di collegamento tra territorio dello Stato e contribuente”.
“L’applicazione della presunzione semplice di residenza in Italia di cui all’art. 2, comma 2- bis TUIR opera unicamente ove vi sia contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate circa la dissociazione tra il dato formale dell’iscrizione all’A.I.R.E. conseguente alla fissazione di residenza in un Paese in black list e il dato sostanziale della effettiva residenza fiscale del contribuente. Ove, invero, non vi sia contestazione alcuna che la cancellazione dall’Anagrafe residenti abbia, comunque, reciso i legami del contribuente con il territorio dello Stato, non può negarsi l’applicazione del criterio, residuale, della mera tassazione in Italia del solo reddito prodotto dal cittadino non residente.
Da tale conclusione deve trarsi il corollario secondo cui, non essendo in contestazione (in tesi) la residenza estera della contribuente, né – di conseguenza – l’avvenuto troncamento del rapporto di domiciliazione tra la contribuente odierna ricorrente e il territorio dello Stato, non può avere alcun rilievo in tesi nel caso di specie – ancorché la contribuente sia residente in un Paese a fiscalità privilegiata – l’elezione di domicilio ai fini dell’accertamento del domicilio effettivo della contribuente, ancorché in luogo diverso dall’ultima residenza anagrafica all’atto dell’iscrizione all’A.I.R.E., non essendo applicabile per i cittadini non residenti il criterio della tassazione del reddito ovunque posseduto, bensì quello del luogo di produzione del reddito, che prescinde dall’eventuale domicilio dichiarato dal contribuente.
Deve, pertanto, ritenersi fondato (e correttamente enunciato) il secondo profilo dedotto dalla ricorrente, ove afferma che il criterio che radica la competenza dell’Ufficio è quello del luogo del reddito prodotto e non quello del domicilio dichiarato.
Va, quindi, enunciato il seguente principio di diritto: «In caso di contribuente residente in Paesi a fiscalità privilegiata, ove l’Ufficio non contesti la residenza del contribuente, la competenza dell’Ufficio che procede all’accertamento del reddito si determina, al pari di qualunque cittadino non residente in Italia, in base al Comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più Comuni, in quello in cui è stato prodotto il reddito più elevato, senza che abbia rilievo l’eventuale domicilio fiscale dichiarato dal contribuente per i redditi prodotti in Italia». La sentenza impugnata, nella parte in cui ha inteso dare rilievo al luogo di elezione di domicilio della contribuente (Prato) è incorsa in falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 31, 58 d.P.R. n. 600/1973, in quanto ha dato rilievo a un elemento, il domicilio fiscale in Italia della contribuente, in tesi irrilevante, trattandosi di soggetto residente all’estero”.
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