Sentenza 17/11/2016, n. 23397 – Corte di Cassazione – Sez. Unite – sulla prescrizione dei crediti previdenziali:

Prescrizione crediti previdenziali: finalmente chiarito con la Sentenza della Corte di Cassazione – Sez. Unite n. 23397 del 17.11.2016: il termine di prescrizione dei crediti previdenziali (crediti INPS) rimane sempre quinquennale, la mancata opposizione alla relativa cartella di pagamento rende solo definitivo (irretrattabile) il credito, non determina anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve in quello ordinario decennale. Il termine prescrizionale diventa decennale ex art. 2053 cc solo ed esclusivamente se il credito viene accertato con sentenza passata in giudicato!!!


FATTO

Il Tribunale di Catania dichiarava inammissibile per tardività (in quanto proposta oltre il termine di quaranta giorni dalla notifica di cui all’art. 24, comma 5, del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46) l’opposizione all’esecuzione di A. M. avverso l’intimazione di pagamento relativa a cartella esattoriale per omesso pagamento di contributi previdenziali INPS. La Corte di appello di Catania riformava la suddetta decisione dichiarando prescritto il credito vantato dall’INPS. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta sulla base dei seguenti principali rilievi:

  1. l’appellante sosteneva che, diversamente da quanto affermato dal primo giudice – che ha considerato l’opposizione inammissibile perché proposta oltre il termine perentorio di quaranta giorni dalla notifica, di cui all’art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 46 del 1999 – la domanda azionata deve essere qualificata come opposizione all’esecuzione, proponibile senza limiti di tempo ai sensi dell’art. 615 cpc, avendo con essa l’interessato fatto valere un atto estintivo successivo alla notifica del titolo, consistente nella sopravvenuta prescrizione del credito;
  2. infatti, anche a voler considerare valida la notifica della cartella di pagamento, al momento della notifica dell’intimazione di pagamento, il credito contributivo vantato dall’INPS risultava prescritto;
  3. invero, è pacifico che l’intimazione di pagamento sia stata notificata in data 27 maggio 2008, sicché all’epoca il credito contributivo vantato dall’INPS era sicuramente prescritto a causa dell’avvenuto decorso del quinquennio dalla notifica della cartella esattoriale (avvenuta, si ribadisce, il 31 agosto 2001), senza il compimento di alcun atto interruttivo da parte del “concessionario della riscossione”;
  4. com’è noto, a norma dell’art. 3, comma 9, della legge 8 agosto 1995, n. 335 il termine prescrizionale per il versamento dei contributivi previdenziali, prima decennale, è ritornato quinquennale a partire dal gennaio 1996, ma il successivo comma 10 dell’art. 3 cit. ha fatto salva la permanenza del termine decennale per le contribuzioni relative agli anni precedenti, nel caso di atti interruttivi già compiuti e/o di procedure di recupero iniziate dall’Istituto previdenziale nel rispetto della normativa preesistente, evenienza che qui non si verifica;
  5. la cartella esattoriale, pur avendo le caratteristiche di un titolo esecutivo, resta un atto amministrativo privo dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato, il che significa che la decorrenza del termine per l’opposizione, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, mentre non determina alcun effetto processuale, sicché non può trovare applicazione l’art. 2953 cod. civ. aifini della operatività della conversione del termine di prescrizione breve (quinquennale) in quello ordinario decennale.

Avverso la suddetta sentenza della Corte, l’INPS ha proposto, per un unico motivo, ricorso per cassazione. L’Istituto ricorrente (non contestava la qualificazione della domanda azionata, effettuata dalla Corte d’appello come opposizione all’esecuzione, proponibile senza limiti di tempo ai sensi dell’art. 615 cpc) sostiene che la pacifica mancanza di tempestiva opposizione alla cartella di pagamento avrebbe determinato l’intangibilità della pretesa contributiva, con la conseguenza che il relativo diritto non potrebbe più ritenersi assoggettato alla prescrizione quinquennale, potendo prescriversi soltanto l’azione diretta all’esecuzione del titolo definitivamente formatosi. E rispetto a tale azione, secondo quanto previsto per l'”actio judicati” dall’art. 2953 cc, troverebbe applicazione il termine prescrizionale decennale ordinario, nella specie non ancora decorso, quando è stata effettuata la notifica dell’intimazione di pagamento. Avendo riscontrato nella giurisprudenza della Corte di cassazione delle “disarmonie” sulla determinazione dell’ambito di applicabilità dell’art. 2953 cc con riferimento alla riscossione mediante ruolo, il ricorso è stato assegnato alle Sezioni Unite.


MOTIVI DELLA DECISIONE

La questione sulla quale le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi investe l’interpretazione da dare all’art. 2953 cc, con riguardo specifico all’operatività o meno della ivi prevista conversione del termine di prescrizione breve in quello ordinario decennale, nelle fattispecie originate da atti di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. In particolare si tratta di stabilire se la suddetta disposizione codicistica sia applicabile anche nelle ipotesi in cui la definitività dell’accertamento del credito derivi da atti diversi rispetto ad una sentenza passata in giudicato.

Nel presente giudizio il problema da risolvere è se la decorrenza del termine perentorio per proporre opposizione a cartella di pagamento produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito oppure determini anche l’effetto di rendere applicabile l’art. 2953 cc ai fini della operatività della conversione del termine di prescrizione breve (quinquennale secondo l’art. 3, commi 9 e 10, della legge n. 335 del 1995) in quello ordinario decennale.

Ovviamente la soluzione di tale problema va coordinata con gli indirizzi espressi da questa Corte con riguardo all’ambito di operatività della suddetta norma in tutte le fattispecie di crediti riscossi mediante ruolo o comunque coattivamente (ad esempio con: l’avviso di addebito dell’INPS, che dal 10 gennaio 2011 ha preso il posto della cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di questo Istituto; oppure con l’avviso di accertamento esecutivo, che dal 10° ttobre 2011, ha in parte sostituito la cartella esattoriale per i crediti erariali ed è stato poi esteso ai crediti dell’Agenzia delle dogane: vedi, rispettivamente artt. 30 e 29 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge n. 122 del 2010).

L’art. 24 cit. attribuisce effettivamente agli enti previdenziali il potere di riscuotere i propri crediti attraverso un titolo (il ruolo esattoriale, da cui scaturisce la cartella di pagamento) che si forma prima e al di fuori del giudizio, in forza del quale l’ente può conseguire il soddisfacimento della pretesa a prescindere da una verifica in sede giurisdizionale della sua fondatezza.

Ma la detta norma non ha fatto altro che attribuire alla cartella di pagamento effetti propri di altri analoghi titoli previsti già in altri ambiti.

Secondo l’orientamento maggioritario e di origine più remota in base all’art. 2953 cc si può verificare la conversione della prescrizione da breve a decennale soltanto per effetto di sentenza passata in giudicato, oppure di decreto ingiuntivo che abbia acquisito efficacia di giudicato formale e sostanziale (vedi, per tutte: Cass. 24 marzo 2006, n. 6628; Cass. 27 gennaio 2014, n. 1650; Cass. 29 febbraio 2016, n. 3987) o di decreto o di sentenza penale di condanna divenuti definitivi (ove si tratti di fattispecie anche penalmente rilevanti).

In particolare per la riscossione coattiva dei crediti la suddetta norma è considerata applicabile esclusivamente quando il titolo sulla base del quale viene intrapresa la riscossione non è più l’atto amministrativo, ma un provvedimento giurisdizionale divenuto definitivo (vedi: Cass. 3 gennaio 1970, n. 1; Cass. 22 dicembre 1989, n. 5777; Cass. 10 marzo 1996, n. 1965; Cass. 11 marzo 1996, n. 1980).

Una delle sentenze della Sezione Tributaria, nelle quali è stato ribadito il suddetto orientamento, abbia inconsapevolmente dato però l’inizio alla “disarmonia” di indirizzi.

Si tratta della sentenza della Sezione V del 26 agosto 2004, n. 17051, nella quale, in una controversia relativa ad un caso di iscrizione a ruolo per IVA, la Corte si è limitata ad affermare espressamente che per effetto della iscrizione “l’Ufficio forma un titolo esecutivo al quale è sicuramente applicabile il termine prescrizionale di dieci anni previsto dall’articolo 2946 del codice civile“, senza peraltro alcuna specifica spiegazione sul punto e senza alcun riferimento all’actio judicati.

Ne deriva che, nell’ambito della giurisprudenza di questa Corte, tale disarmonia non ha avuto grandi conseguenze, ma ne ha sicuramente prodotte – di molto incisive – nella giurisprudenza del merito e, in genere, nella interpretazione e nell’applicazione delle norme di riferimento, in un settore di grande “impatto” come quello della riscossione mediante ruolo dei crediti previdenziali, tributari e così via. Pertanto, appare opportuno precisare che la correttezza dell’orientamento tradizionale è confermata, oltre che dalla precedente sentenza di queste Sezioni Unite del 10 dicembre 2009, n. 25790 (già richiamata), da molteplici ulteriori elementi. In primo luogo, va ricordato che, nell’ambito della giurisprudenza di questa Corte nella quale viene da sempre sottolineato che la disciplina della prescrizione è “di stretta osservanza ed è insuscettibile d’interpretazione analogica (vedi, per tutte: Cass. 15 luglio 1966, n. 1917 e Cass. 18 maggio 1971, n. 1482) è pacifico che:

  1. se in base all’art. 2946 cod. civ. la prescrizione ordinaria dei diritti è decennale a meno che la legge disponga diversamente, nel caso dei contributi previdenziali è appunto la legge che dispone diversamente (art. 3, comma 9, legge 335 del 1995 cit.);
  2. la norma dell’art. 2953 cod. civ. non può essere applicata per analogia oltre i casi in essa stabiliti (ex multis: 29 gennaio 1968, n. 285; Cass. 10 giugno 1999, n. 5710);
  3. la prescrizione decennale da “actio judicati“, prevista dall’art. 2953 cod. civ., decorre non dal giorno in cui sia possibile l’esecuzione della sentenza né da quello della sua pubblicazione, ma dal momento del suo passaggio in giudicato (tra le tante: 10 luglio 2014, n. 15765; Cass. 14 luglio 2004, n 13081);
  4. la conversione della prescrizione breve in quella decennale per effetto della formazione del titolo giudiziale ex art. 2953 cod. civ. ha il proprio fondamento esclusivo nel titolo medesimo, sicché non incide sui diritti non riconducibili a questo e, dunque, non opera per i diritti maturati in periodi successivi a quelli oggetto del giudicato di condanna ( 20 marzo 2013, n. 6967; Cass. 10 giugno 1999, n. 5710 cit.);
  5. il generico riferimento al “diritto” per il quale sia stabilita un termine di prescrizione breve contenuto nell’art. 2953 cod. civ., consente di ritenere che laddove intervenga un giudicato di condanna (anche generica), la conversione del termine di prescrizione breve del diritto in quello decennale si estende pure ai coobbligati solidali anche se rimasti estranei al relativo giudizio (vedi, per tutte: 13 gennaio 2015, n. 286; Cass. 11 giugno 1999, n. 5762; Cass. 10 marzo 1976, n. 839; Cass. 14 aprile 1972, n. 1173; Cass. 17 giugno 1965, n. 1961; Cass. 17 agosto 1965, n. 1961; Cass. 20 ottobre 1964, n. 2633).

Quest’ultimo effetto, all’evidenza, si attaglia solo ad un titolo esecutivo giudiziale. È notorio che soltanto un atto giurisdizionale può acquisire autorità ed efficacia di cosa giudicata e, che il giudicato, dal punto di vista processuale, spiega effetto in ogni altro giudizio tra le stesse parti per lo stesso rapporto e dal punto di vista sostanziale rende inoppugnabile il diritto in esso consacrato tanto in ordine ai soggetti ed alla prestazione dovuta quanto all’inesistenza di fatti estintivi, impeditivi o modificativi del rapporto e del credito mentre non si estende ai fatti successivi al giudicato ed a quelli che comportino un mutamento del “petitum” ovvero della “causa petendi” della originaria domanda (vedi, per tutte: Cass. 12 maggio 2003, n. 7272; Cass. 24 marzo 2006, n. 6628).

La questione di massima di particolare importanza sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite e la ivi denunziata disarmonia riscontratasi tra le pronunce delle diverse Sezioni semplici di questa Corte, possono, pertanto, risolversi, con l’affermazione dei seguenti principi di diritto:

  • “la scadenza del termine (pacificamente perentorio) per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui all’art. 24, comma 5, del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale secondo l’art. 3, commi 9 e 10, della legge n. 335 del 1995) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 cod. civ. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che dal 1° gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (art. 30 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge n. 122 del 2010)”;
  • “è di applicazione generale il principio secondo il quale la scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma non determina anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 cc. Tale principio, pertanto, si applica con riguardo a tutti gli atti, comunque denominati, di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 cc., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo”.

Per tutte le ragioni di cui sopra la Suprema Corte ha respinto il ricorso presentato dall’INPS.