IMPUGNAZIONE DEL RUOLO. LA DISCIPLINA CHE HA INTRODOTTO LA NON IMPUGNABILITÀ DEI RUOLI È RETROATTIVA O NO? COSA SUCCEDERÀ CON LE CAUSE IN CORSO? ORIENTAMENTO DEL TRIBUNALE DI MILANO IN ATTESA DELLA PRONUNCIA DELLE SSUU (Ordinanza Cass. n. 4526/2021 del 10.2.2022).

Sentenza Tribunale Milano – Sez. Lavoro n. 1792/2022, depositata in data 11.7.2022 (Il giudice del Lavoro Sara Manuela Moglia) (Caso Studio Legale Kòsa MusacchioClick Avvocati).

Impugnazione del ruolo. Prima di entrare nel merito della sentenza è necessario dapprima ripercorrere brevemente la disciplina introdotta nel corso del 2021 e che ha previsto proprio la non impugnabilità dei ruoli formati dagli Enti impositori, salvo pochi casi eccezionali. A tal riguardo, la disciplina della non impugnabilità dei ruoli è stata introdotta con l’art. 3-bis D.L. 146/2021 e all’indomani della sua formulazione sono nati accesi dibattiti sia per quanto concerne la legittimità della norma sia per quanto concerne la sua irretroattività.

In particolare, per quanto concerne il tema che qui interessa, ovvero della sua irretroattività, il problema maggiormente discusso riguardava l’impatto che questa norma poteva avere sui giudizi pendenti perché in caso di irretroattività della norma l’esito del giudizio si tramutava in una inammissibilità del ricorso con conseguente rigetto della domanda del contribuente che aveva fondato la sua domanda proprio sul ruolo.

Impugnazione del ruolo. A fronte di tali dibattiti le corti di merito hanno formato due orientamenti divergenti:

  • Il primo orientamento riconosceva la retroattività della norma ed esso si basa essenzialmente sulla circostanza che, a seguito della proposizione del ricorso e dell’introduzione della suddetta norma, il contribuente non aveva più interesse ad agire. Detto in parole povere, il ricorso del contribuente che si basava sull’esistenza di una norma che gli consentiva di proporre ricorso non esisteva più, per cui il ricorso era da considerarsi inammissibile.
  • Il secondo orientamento, che secondo lo scrivente è più ragionevole, si basa sulla circostanza che facendo uso di una interpretazione più consona dell’art. 111 della Costituzione (attinente il giusto processo) si afferma che il principio del tempus regit processum impone che le modifiche normative di leggi processuali trovino applicazione solo per le azioni giurisdizionali proposte successivamente alla loro introduzione. Conseguentemente, al contrario, non possono essere applicate ai giudizi pendenti. In altre parole, per tutti i ricorsi che sono stati introdotti prima dell’entrata in vigore della predetta norma la relativa disciplina non può essere applicata retroattivamente.

Ciò rappresentato, per quanto concerne, invece, la sentenza in commento, facendo applicazione proprio di tale principio, è stato affermato che: “L’art. 3 bis al Dl 146/21 (entrato in vigore il 21 ottobre 2021), è stato introdotto dalla legge di conversione, come risulta dallo stesso art. 1 del testo coordinato con la l.n. 215/21, che precisa che le modifiche sono quelle contrassegnate dalle ((-)), giust’appunto i simboli che si rinvengono nell’art. 3 bis.

Trattandosi di modifiche introdotte con la legge di conversione, trova applicazione il disposto che si legge sempre nell’art. 1 del testo coordinato che recita: “a norma dell’art. 15, comma 5, della legge 23 agosto 1988, n. 400, (Disciplina dell’attivita’ di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), le modifiche apportate dalla legge di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della sua Pubblicazione”.

Ordunque, al momento in cui il ricorso è stato presentato, l’art. 3 bis non era norma in vigore.”

In altre parole, il Giudice del Tribunale di Milano afferma che l’art. 3 del D.L. 146/21 non essendo in vigore all’epoca della proposizione del ricorso non può essere applicato retroattivamente. Ed aggiunge:

“L’intervento di una legge che limiti la possibilità di impugnare un atto non può che intervenire per il futuro, non ritenendo legittimo che un’azione esperibile in un determinato momento storico, diventi inammissibile per effetto di una legge successiva.

Anche ritenendo, come si crede che la norma abbia una portata processuale, si ritiene, comunque di aderire a quell’indirizzo giurisprudenziale che applica il principio del tempus regit actum non in riferimento al processo, ma all’atto della cui validità/ammissibilità si sta parlando.”

Impugnazione del ruolo. Dunque, secondo il giudice del Tribunale Meneghino la norma non ha applicazione retroattiva, ma vi è da specificare come tale indirizzo interpretativo sia parte di un orientamento contrastante rispetto al primo e tale contrasto non potrà essere risolto che dalla Corte di Cassazione, essendo stato già rimesso nel corso dei primi mesi del corrente anno al Primo Presidente la valutazione in ordine all’opportunità di sottoporre alle Sezioni Unite la questione relativa all’eventuale applicabilità, anche ai giudizi in corso.

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(Studio Legale Kòsa MusacchioClick Avvocati).