DAZI ABROGATI: NON È CONSENTITO IL RIMBORSO. SALVO CHE LA DISPOSIZIONE SUCCESSIVA NE PREVEDA ESPRESSAMENTE LA RIMBORSABILITÀ.
Dazi abrogati. L’abrogazione di dazi non può consentire il rimborso di quelli corrisposti in precedenza, salvo che la disposizione successivamente introdotta ne preveda espressamente la rimborsabilità. A maggior ragione il rimborso non è consentito ove la disposizione successiva ne preveda espressamente la reintroduzione.
Cassazione tributaria – sentenza n. 11619/2023 del 4.5.2023 (Presidente Enrico Manzon , Cons. rel. Filippo D’Aquino).
DAZI ABROGATI. FATTI.
La società contribuente versava dazi sulla base del Regolamento (CE) del 5 ottobre 2006, n. 1472 e successivo Regolamento (UE) di attuazione n. 1294/2009, successivamente dichiarato illegittimo con sentenza della Corte di giustizia del 4 febbraio 2016, nelle cause riunite C659/13 e C-34/14.
Agenzia delle entrate negava il rimborso, sostenendo
- in relazione a 7 bollette il superamento del termine triennale di prescrizione di cui all’art. 236 Reg. (CE) n. 2913/92 e,
- quanto alle restanti dichiarazioni riteneva che avessero ad oggetto calzature esportate da fornitori indicati nei Regolamenti di esecuzione (UE) nn. 1395/2016 e 1647/2016, ai quali aveva fatto seguito il Reg. (UE) n. 2232/2017 (impugnato questo davanti al Tribunale UE), Regolamenti che avevano reintrodotto retroattivamente i dazi antidumping in relazione ai produttori asiatici indicati in allegato.
La CTP di Novara ha rigettato il ricorso. La CTR del Piemonte, con sentenza in data 23 luglio 2020, ha rigettato l’appello della società contribuente, rilevando che i provvedimenti di diniego erano stati emessi sulla base di Regolamenti in vigore.
La contribuente proponeva ricorso per cassazione e richiedeva in via preliminare la sospensione del giudizio di legittimità, in attesa della pronuncia del Tribunale UE, davanti al quale è stato impugnato il Regolamento (UE) n. 2017/2232.
DAZI ABROGATI. MOTIVI DELLA DECISIONE.
La Corte rilevava preliminarmente che l’istanza di sospensione sia superata dall’intervenuta decisione del Tribunale UE (sentenza del 9 giugno 2021, confermata dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’8 settembre 2022, C-507/21) e quindi la dichiara inammissibili per difetto di interesse.
La Corte di Giustizia, adita nell’ambito di domande di rimborso di analoghi dazi antidumping proposte anche dalla società controllante dell’odierna ricorrente, ha dichiarato l’invalidità del Regolamento (CE) n. 1472/2006 e del Regolamento di esecuzione (UE) n. 1294/2009, nella parte in cui Consiglio e Commissione UE non si erano pronunciati sulle domande di concessione dello status di società operanti in un’economia di mercato presentate dai produttori-esportatori asiatici, nonché in relazione al nesso di causalità con il pregiudizio che derivava all’industria UE dal volume delle importazioni oggetto di dumping (CGUE, 4 febbraio 2016, C-659/13 e 34/14).
La suddetta sentenza è stata emessa in procinto della scadenza del termine di quindici anni dall’adesione della RPC al WTO (2001), come indicato alla Sezione 15, lett. d) del Protocollo di adesione della PRC al WTO, che concerne il riconoscimento alla RPC dello status di economia di mercato (SEM) ai fini della metodologia di calcolo del margine di dumping.
La Commissione UE ha, quindi, ripreso il procedimento antidumping dal punto in cui la Corte di Giustizia lo aveva annullato, esaminando se per le esportazioni per cui è causa prevalessero le condizioni di mercato. All’esito, sono stati emessi nuovi regolamenti di esecuzione che hanno istituito nuovamente dazi definitivi, con efficacia retroattiva (dal 2006 in avanti), senza alcuna soluzione di continuità, sulle importazioni di calzature con tomaie in cuoio, in un caso – Reg. (UE) n. 1395/2016 – di provenienza cinese da determinati produttori indicati in allegato al suddetto Regolamento, in un altro – Reg. (UE) n. 1647/2016 – di provenienza vietnamita da altri produttori e, ulteriormente – Reg. (UE) n. 2232/2017 – di provenienza cinese e vietnamita di ulteriori produttori indicati in allegato al Regolamento.
La Corte di Giustizia si è, infine, pronunciata sulla legittimità dei suddetti regolamenti, ritenendo che la Commissione possa sia istituire, sia ripristinare dazi antidumping annullati per dichiarazioni di invalidità sanabili («after annulment or declaration of invalidity on grounds which may be remedied»: CGUE, 8 settembre 2022, Puma SE, C-507/21 P, punto 58), trovando detti regolamenti fondamento normativo negli artt. 9 e 14 Reg. (UE) n. 2016/1036 (CGUE, C-507/21 P, cit., punto 59).
Per l’effetto, la Corte di Giustizia ha ritenuto – quanto alle domande di rimborso di dazi originariamente annullati e successivamente ripristinati – che la reimposizione dei dazi osta al rimborso dei dazi pagati nel vigore dei precedenti regolamenti annullati per importazioni effettuate sino al 31 marzo 2011 (CGUE, C-507/21 P, cit., punto 68).
La Cassazione riteneva il motivo infondato, in quanto il rigetto dell’istanza di rimborso dei dazi è stato motivato dall’emissione di successivi regolamenti di esecuzione, in relazione ai quali la giurisprudenza dell’Unione ha ritenuto che l’emissione dei suddetti regolamenti – in particolare il Reg. (UE) n. 2232/2017 – osta al rimborso dei dazi originariamente corrisposti sulla base di Regolamenti invalidati per vizi che sono stati sanati dai successivi Regolamenti di esecuzione.
La Corte di Cassazione riteneva inoltre manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità (in relazione alla cui eccezione non è stata, peraltro, indicata, quale sarebbe la norma primaria che impatterebbe negativamente rispetto ai precetti costituzionali), non venendo in considerazione in questo caso l’imposizione retroattiva di una obbligazione tributaria, bensì un ostacolo al rimborso di un’imposta riconosciuta legittima da una disposizione eurounitaria.
D’altro canto – come osserva la Corte di Giustizia – il diniego di rimborso non appare contrario ai principi di effettività ed equivalenza, posto che «anche se il regolamento di esecuzione 2016/223 non fosse stato adottato, le ricorrenti si sarebbero trovate in una situazione praticamente identica a quella in cui si trovano oggi.
In tal caso, le ricorrenti avrebbero probabilmente ricevuto il rimborso dei dazi pagati ai sensi del regolamento n. 1472/2006 e del regolamento di esecuzione n. 1294/2009, ma sarebbero state nuovamente chiamate a pagare gli stessi importi ai sensi dei regolamenti di esecuzione impugnati» (CGUE, ult. cit., punto 79).
Questa interpretazione è, inoltre, conforme alla giurisprudenza di questa Corte, la quale afferma che l’eventuale abrogazione di dazi antidumping non ha efficacia retroattiva, salvo che la disposizione abrogatrice preveda espressamente che la stessa abbia effetto anche per il periodo precedente l’abrogazione, solo in tal caso consentendosi il rimborso dei dazi riscossi prima dell’emissione della disposizione abrogatrice (Cass., Sez. V, 10 novembre 2020, n. 25096).
Ciò in quanto l’abrogazione delle misure antidumping è frutto di mera opportunità degli organi dell’Unione e non può avere effetto retroattivo (Cass., Sez. V, 7 novembre 2019, n. 28668); né i dazi hanno natura sanzionatoria, per cui a essi non è applicabile il principio di retroattività della disposizione successiva più favorevole (Cass., Sez. V, 14 novembre 2019, n. 29649; Cass., Sez. V, 4 novembre 2009, n. 23381).
Dazi abrogati: se l’abrogazione di dazi non può consentire il rimborso di quelli corrisposti in precedenza, salvo che la disposizione successivamente introdotta ne preveda espressamente la rimborsabilità, a maggior ragione il rimborso non è consentito ove la disposizione successiva ne preveda espressamente la reintroduzione.
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