LA CORTE EUROPEA SULLE TARGHE ESTERE. DIVIETO DI CIRCOLAZIONE. LA CORTE EUROPEA BOCCIA DECISAMENTE LA NORMA. ITALIA HA EMESSO UNA LEGGE IN PALESE VIOLAZIONE DELLE NORMATIVE EUROPEE. LE GIUSTIFICAZIONI APPORTATE RISULTANO IRRAGIONEVOLI E NON COSTITUISCONO MOTIVI IMPERATIVI DI INTERESSE GENERALE (Sentenza del 16.12.2021 CGUE C-274/20 (scarica PDF) – caso Studio Legale Kòsa Musacchio). ITALIA, A SEGUITO DELLA SENTENZA DELLA CGUE, ABROGA LE NORME SULLE TARGHE ESTERE PER EMETTERNE UNA PEGGIORE E PIÙ VIOLATRICE DEI PRINCIPI E NORMATIVE EUROPEI (E NON SOLO)! ART. 93-BIS DEL CDS IN VIGORE DAL 18.3.2022.

Targhe estere. Art. 93 comma 1-bis del codice della strada. Il Giudice di Pace di Massa, con ordinanza del 16.6.2020 rimetteva alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), al fine di ottenere una pronuncia pregiudiziale, l’esame del nuovo comma 1-bis dell’art. 93 del Codice della Strada (Causa C-274/20 – Domanda di pronuncia pregiudiziale – Ordinanza di rimessione in forma anonimizzata) (Studio Legale Kòsa Musacchio) e successivamente con Ordinanza del 14.9.2020, depositata in data 7.10.2020 (Studio Legale Kòsa Musacchio) è stata rimessa anche al vaglio della Corte Costituzionale (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale in data 3.2.2021).

Secondo il citato comma “Salvo quanto previsto dal comma 1-ter, è vietato, a chi ha stabilito la residenza in Italia da oltre sessanta giorni, circolare con un veicolo immatricolato all’estero”.

  • Con sentenza pronunciata in data 16.12.2021 (C-274/20) la Corte ha dichiarato che l’art. 93 comma 1-bis viola le normative europee ed in particolare l’art. 63 del TFUE, secondo cui sono “vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri”, in quanto il prestito transfrontaliero di autovetture costituisce movimento di capitali.

  1. I PAESI MEMBRI DEVONO ESSICURARE IL RISPETTO DELLE NORMATIVE EUROPEE. PERCHÈ LA NORMA IN ESAME CONTRASTA CON LE NORMATIVE EUROPEE?

L’art. 4 TUE prevede l’obbligo per gli Stati membri dell’Unione europea di adottare “tutte le misure di carattere generale o particolare atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione. Essi si astengano da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione” (obbligo di leale collaborazione).

Il principio affermato dall’art. 4 TUE nasce dalla consapevolezza che l’ordinamento dell’Unione, diversamente dagli ordinamenti nazionali, non costituisce un sistema chiuso e autosufficiente, ma ha bisogno, per potersi completamente realizzare, dell’integrazione con gli ordinamenti degli Stati membri. La stretta integrazione esistente tra l’ordinamento europeo e quello degli Stati membri implica necessariamente un coordinamento ed un’armonizzazione che, tuttavia, non sempre risultano attuati nella pratica, dando vita a fenomeni di contrasto tra le diverse disposizioni dettate dai due ordinamenti.

La soluzione di tali conflitti risulta particolarmente importante, in quanto i destinatari delle disposizioni europee e di quelle nazionali coincidono. La Corte di giustizia dell’Unione europea, attraverso una costante interpretazione giurisprudenziale, ha affermato due principi di fondamentale importanza, al fine impostare correttamente, in caso di conflitti, i rapporti tra il diritto europeo ed il diritto interno:

      1. quello della diretta efficacia del diritto dell’Unione e
      2. quello del primato del diritto dell’UE.

L’affermazione del principio della diretta efficacia del diritto dell’Unione non potrebbe costituire una garanzia sufficiente per i cittadini degli Stati membri, in quelle ipotesi in cui una norma dell’ordinamento dell’Unione dovesse contrastare con una disposizione interna, se quest’ultima dovesse prevalere sulla norma europea i diritti attribuiti ai singoli dell’ordinamento dell’Unione non troverebbero alcuna tutela.

A questo fine è rivolto un altro principio di derivazione giurisprudenziale, diretto proprio ad evitare tale eventualità: il primato del diritto dell’Unione europea – che interessa nel caso in esame. Con questa espressione si intende quel principio per cui in caso di conflitto, di contraddizione o di incompatibilità tra norme di diritto dell’Unione e norme nazionali, le prime prevalgono sulle seconde. Tale principio fu affermato per la prima volta nella celebre sentenza 6/64 Costa c. Enel, secondo cui:

  • con l’istituzione della Comunità gli Stati membri hanno limitato, sia pure in campi circoscritti, i loro poteri sovrani ed hanno creato un complesso di diritti vincolante per i loro cittadini e per loro stessi;
  • tale limitazione di sovranità ha come corollario l’impossibilità per gli Stati di far prevalere contro tale ordinamento un provvedimento unilaterale ulteriore, se ciò accadesse sarebbe scosso lo stesso fondamento giuridico dell’Unione.

Nella sentenza 106/77 Amministrazione delle Finanze c. Simmenthal, la Corte fu ancora più esplicita affermando che “in forza del principio della preminenza del diritto dell’Unione, le disposizioni del trattato e gli atti delle istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno l’effetto, nei loro rapporti col diritto interno degli Stati membri, non solo di rendere «ipso jure» inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale preesistente, ma anche – in quanto dette disposizioni e detti atti fanno parte integrante, con rango superiore rispetto alle norme interne, dell’ordinamento giuridico vigente nel territorio dei singoli Stati membri – di impedire la valida formazione di nuovi atti legislativi nazionali, nella misura in cui questi fossero incompatibili con norme comunitarie”.

Nella stessa sentenza la Corte chiariva quali erano gli effetti dell’applicazione di un tale principio, in particolare per quanto riguardava l’attività del giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito delle proprie competenze, il diritto dell’Unione.

Il giudice nazionale, infatti, “ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale”.

Occorre sottolineare inoltre che il principio del primato del diritto dell’Unione europea seppure non inserito nei trattati è oggi pienamente sancito nella Dichiarazione n. 17 allegata ai Trattati in seguito alla riforma di Lisbona. Su questo punto è importante il parere del servizio giuridico annesso alla stessa Dichiarazione secondo cui “il fatto che il principio della preminenza non è incluso nel trattato non altera in alcun modo l’esistenza del principio stesso e la giurisprudenza esistente della Corte di giustizia”. Secondo il comma 1-bis dell’art. 93 del CdS “Salvo quanto previsto dal comma 1-ter, è vietato, a chi ha stabilito la residenza in Italia da oltre sessanta giorni, circolare con un veicolo immatricolato all’estero”.

La succitata norma risulta palesemente in contrasto con le normative europee, in quanto ostacola, principalmente, il mercato interno e le quattro libertà!!!

Il mercato interno si realizza in uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, in conformità alle disposizioni dei trattati (art. 26 TFUE). In tale prospettiva, l’Unione adotta le misure necessarie al fine di eliminare gli ostacoli di natura tecnica, giuridica e burocratica che impediscono ancora il libero scambio e la libera circolazione fra gli Stati membri. Risulta chiaro ed evidente che il succitato comma 1-bis dell’art. 93 del CdS viola principalmente:

  1. Il diritto di stabilimento (artt. 49-55 TFUE);
  2. Il diritto alla libera circolazione e soggiorno (art. 21 TFUE);
  3. Il diritto alla libera circolazione dei lavoratori subordinati (art. 45 par. 1 TFUE);
  4. Il diritto alla libera prestazione dei servizi (artt. 56-62 TFUE);
  5. Il diritto alla libera circolazione dei capitali e somme di denaro (art. 63 TFUE).

Si ricorda e si sottolinea che la normativa europea vieta decisamente sia le discriminazioni dirette o palesi che le discriminazioni indirette ed occulte, nonché quelle cd. “materiali” ovvero norme applicabili sia ai cittadini nazionali che a quelli di altri stati membri, ma che sfavoriscono questi ultimi proprio perché li trattano alla stessa stregua dei primi in situazioni in cui gli stessi non hanno possibilità o hanno difficoltà di soddisfare gli stessi criteri dei cittadini nazionali.

Le nuove previsioni del CdS impediscono e/o rendono difficoltosi la libera circolazione, il libero stabilimento e la libera prestazione di servizi in Italia da parte degli altri cittadini europei. Per fare un esempio semplice, se un libero professionista e/o lavoratore dipendente (magari stagionale nelle località di mare o nel Trentino Alto Adige) dovesse soggiornare / risiedere per motivi lavorativi più di 60 gg all’anno in Italia sarebbe costretto ad immatricolare il proprio mezzo/i in Italia al fine di potere circolare con gli stessi in Italia.

Tale fatto indubbiamente costituirebbe un grosso onere per  il professionista e/o lavoratore dipendente, il quale per 60 gg di soggiorno / lavoro in Italia sarebbe costretto ad immatricolare, come detto, il proprio mezzo in Italia ed al rientro nel proprio paese d’origine reimmatricolare lo stesso nello Stato di provenienza. Tale obbligo comporterà sicuramente la rinunciare al lavoro da svolgere in Italia. Per tale ragione, si ritiene palese la violazione delle previsioni europee sul diritto al libero stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi ed inoltre si ritiene discriminatoria nei confronti dei cittadini europei non italiani e/o residenti in modo permanente in un altro Stato europeo, in relazione all’accesso al lavoro.

Lo stesso ragionamento vale anche per i cittadini europei non italiani che intendono soggiornare più di 60 gg in Italia per fini turistici e/o di studio. E’ pertanto impossibile ed inconcepibile applicare una norma di simile assurdità nello spazio europeo. Per precisione, si fa presente, inoltre, che tutti i cittadini europei, al fine di potere soggiornare oltre 90 gg in Italia, sono obbligati a richiedere la propria registrazione presso l’anagrafe del Comune italiano, ex D.Lgs. n.30/07, attuativo della direttiva europea 2004/38/CE.

Per tale motivo, un lavoratore stagionale e/o un libero professionista e/o uno studente, che ha necessità di soggiornare / lavorare / studiare per oltre 90 gg in Italia, sarà assolutamente costretto a registrarsi presso l’anagrafe italiano. Risulta inoltre verosimile che il lavoratore stagionale / occasionale in Italia, consapevole di dovere ritornare l’anno successivo in Italia, per evitare nuove prassi burocratiche, decida di non cancellarsi dalla anagrafe italiana. Tale circostanza in realtà, nel caso in esame, risulta totalmente irrilevante, in quanto il concetto di residenza viene, in ogni caso, determinato in base ad elementi di fatto, prescindendo dalla registrazione formale presso l’anagrafe italiana (secondo l’art. 43 c.c. “La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”).

Risulta sufficiente, quindi, al fine dell’applicazione della norma de quo, soggiornare effettivamente per almeno 60 gg, anche senza registrazione presso l’anagrafe. Infatti, assurdo, ma vero, basta “passare” 60 gg con il proprio mezzo immatricolato in un altro paese europeo in Italia e si è soggetti ad una sanzione amministrativa da € 712,00 a € 2.848,00, conseguente sequestro del mezzo, ulteriori spese per le targhe provvisorie, per la nuova assicurazione delle targhe provvisorie, spese di spedizione dei documenti e targhe, infinita “tiritera” burocratica di almeno 3 o 4 mesi al fin di riavere i documenti dal Consolato Italiano nel paese d’origine ed avere il proprio mezzo in regola. Tutto ciò ha dell’inconcepibile ed insensato!!!

Per i motivi di cui sopra, si ritiene palese il contrasto tra la norma in esame ed il diritto europeo e per tale ragione, pertanto, l’Ill.mo Giudice nazionale adito, ha l’obbligo, di propria iniziativa, a disapplicare il comma 1-bis dell’art. 93 del CdS e conseguentemente annullare la impugnata contravvenzione.

La norma in esame, come prospettato dalla difesa dei ricorrenti e dal giudice del rinvio, in astratto risulta violare molteplici norme europee, non solo l’art. 63 TFUE che la Corte ha deciso di applicare al caso in esame, in quanto meglio rispecchiava la situazione concreta. Ciò non significa che la norma, al di fuori dei prestiti gratuiti transfrontalieri, possa considerarsi legittimamente applicabile.

ITALIA, A SEGUITO DELLA SENTENZA DELLA CGU, ABROGA LE NORME SULLE TARGHE ESTERE PER EMETTERNE UNA PEGGIORE E PIÙ VIOLATRICE DEI PRINCIPI E NORMATIVE EUROPEI (E NON SOLO)

Italia, a seguito della citata sentenza, dichiarando di volere adempiere agli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, mediante la legge del 23 dicembre 2021, n. 238, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 17.1.2022, in vigore dal 18.3.2022 (60 giorni dalla pubblicazione nella G. U. 17.1.2022), ha apportato alcune modifiche all’art. 93 del Codice della Strada.

Sono stati abrogati tutti i commi relativi alle previsioni sulle targhe estere (commi 1-bis, 1-ter, 1-quater, 1-quinques, 7-bis e 7-ter dell’art. 93 Codice della Strada) e veniva inserito in particolare, dopo l’art. 93, l’art. 93-bis con delle previsioni in relazione a veicoli “immatricolati in uno Stato estero e condotti da residenti in Italia”.

Le nuove previsioni contenute nell’art. 93-bis non tengono conto neanche minimamente dei principi enunciati dalla CGUE nella sentenza del 16.12.2021 (C-274/20), anzi sembra una sistematica violazione di ogni singola riga e contenuto della sentenza. Sono inoltre ancora in più evidente contrasto anche con le fondamentali normative europee. Risultano violare ancora più gravemente i principi fondamentali della nostra Carta costituzionale ed anche alcune convenzioni internazionali.

È incomprensibile la scelta operata dallo Stato italiano, il quale ha totalmente abrogato le norme censurate dalla CGUE per poi emetterne un’altra, ancora più censurabile, disinteressandosi completamente, come detto, della sentenza della Corte e di tutti i diritti e libertà fondamentali dei cittadini UE e cittadini in generale.

Italia, incomprensibilmente, continua per la sua strada di disintegrazione europea che dovrebbe comportare l’avvio da parte della Commissione Europea del procedimento d’infrazione. Le nuove normative sono una offesa, una violenza al diritto europeo, alla autorevolezza della Corte europea e diritti e libertà in genere del cittadino.

COSA PREVEDONO LE NUOVE NORME SULLE TARGHE ESTERE?

I veicoli “1. di proprietà di persona che abbia acquisito residenza anagrafica in Italia sono ammessi a circolare sul territorio nazionale a condizione che entro tre mesi dall’acquisizione della residenza siano immatricolati secondo le disposizioni degli articoli 93 e 94”.

È evidente che, anche in questo caso, la norma non tiene conto neanche minimamente del tempo di permanenza del veicolo su territorio italiano, ma solo della residenza, addirittura anagrafica (che potrebbe non essere quella reale), del proprietario che, come sottolineato dalla Corte sovranazionale, non deve e non può avere alcuna rilevanza.

Nel caso in cui le auto non sono intestate al conducente residente a bordo dell’auto “2. deve essere custodito un documento, sottoscritto con data certa dall’intestatario, dal quale risultino il titolo e la durata della disponibilità del veicolo.

Quando la disponibilità del veicolo da parte di persona fisica o giuridica residente o avente sede in Italia supera un periodo di trenta giorni, anche non continuativi, nell’anno solare, il titolo e la durata della disponibilità devono essere registrati, a cura dell’utilizzatore, in apposito elenco del sistema informativo del P.R.A. di cui all’articolo 94, comma 4-ter.

Secondo l’art. 4-ter “Nel sistema informativo del P.R.A. è formato ed aggiornato l’elenco dei veicoli immatricolati all’estero per i quali è richiesta la registrazione ai sensi del comma 2 dell’articolo 93-bis, secondo la medesima disciplina prevista per l’iscrizione dei veicoli ai sensi della legge 9 luglio 1990, n. 187.

Tale elenco costituisce una base di dati disponibile per tutte le finalità previste dall’articolo 51, comma 2-bis, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157. L’elenco è pubblico”.

Tale iscrizione comporta il versamento della tassa automobilistica, come previsto per le auto immatricolate in Italia. L’auto viene quindi sottoposta ad una doppia imposizione (nel paese d’origine e Italia), in contrasto con i principi regolatori della materia. Tale obbligo di iscrizione nell’“Elenco dei veicoli immatricolati all’estero” equivale ad una immatricolazione in Italia. Che è prevista dopo soli 30 giorni di utilizzo dell’auto in Italia e anche non consecutivi.

“Ogni successiva variazione della disponibilità del veicolo registrato deve essere annotata entro tre giorni a cura di chiunque cede la disponibilità del veicolo stesso. In caso di trasferimento della residenza o di sede se si tratta di persona giuridica, all’annotazione provvede chi ha la disponibilità del veicolo.

In mancanza di idoneo documento a bordo del veicolo ovvero di registrazione nell’elenco di cui all’articolo 94, comma 4-ter, la disponibilità del veicolo si considera in capo al conducente e l’obbligo di registrazione deve essere assolto immediatamente dallo stesso.

Ai veicoli immatricolati in uno Stato estero si applicano le medesime disposizioni previste dal presente codice per i veicoli immatricolati in Italia per tutto il tempo in cui risultano registrati nell’elenco dei veicoli di cui all’articolo 94, comma 4-ter”.

Gli obblighi relativi all’utilizzo in Italia delle auto targate all’estero sono chiaramente più onerosi ed impegnativi di quelli previsti dalla normativa precedente e le sanzioni sono macroscopicamente più elevate e sproporzionate.

QUALI SONO LE SANZIONI PREVISTE IN CASO DI OMESSA ESIBIZIONE DEI DOCUMENTI PREVISTI AL COMMA 2 AL MOMENTO DELLA VERIFICA?

1.       SANZIONE PECUNIARIA:

“8. Chiunque viola le disposizioni di cui al comma 2, primo periodo, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 250 a euro 1.000”.

2.       OBBLIGO DI ESIBIZIONE DEI DOCUMENTI ENTRO 30 GIORNI:

“Nel verbale di contestazione è imposto l’obbligo di esibizione del documento di cui al comma 2 entro il termine di trenta giorni”.

3.       FERMO AMMINISTRATIVO:

“Il veicolo è sottoposto alla sanzione accessoria del fermo amministrativo secondo le disposizioni dell’articolo 214 in quanto compatibili ed è riconsegnato al conducente, al proprietario o al legittimo detentore, ovvero a persona delegata dal proprietario, solo dopo che sia stato esibito il documento di cui al comma 2 o, comunque, decorsi sessanta giorni dall’accertamento della violazione”.

4.       IN CASO DI MANCATA ESIBIZIONE SI APPLICA LA SANZIONE PECUNIARIA DA EURO 727 A EURO 3.629:

“In caso di mancata esibizione del documento, l’organo accertatore provvede all’applicazione della sanzione di cui all’articolo 94, comma 3, con decorrenza dei termini per la notificazione dal giorno successivo a quello stabilito per la presentazione dei documenti”.

QUALI SONO LE SANZIONI APPLICATE IN CASO DI PRESTITO DI AUTO, OLTRE 30 GIORNI, NON REGISTRATA AL PRA:

1.       SANZIONE PECUNIARIA:

“9. Chiunque, nelle condizioni indicate al comma 2, secondo periodo, circola con un veicolo per il quale non abbia effettuato la registrazione ivi prevista ovvero non abbia provveduto a comunicare e successive variazioni di disponibilità o il trasferimento di residenza o di sede, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 712 a euro 3.558”.

2.       RITIRO DEL LIBRETTO DI CIRCOLAZIONE:

“Il documento di circolazione è ritirato immediatamente dall’organo accertatore e restituito solo dopo l’adempimento delle prescrizioni non osservate”.

3.       IN CASO DI CIRCOLAZIONE CON LIBRETTO RITIRATO: SANZIONE PECUNIARIA DA EURO 2.046 A EURO 8.186 E FERMO AMMINISTRATIVO:

“Del ritiro è fatta menzione nel verbale di contestazione. In caso di circolazione del veicolo durante il periodo in cui il documento di circolazione è ritirato ai sensi del presente comma, si applicano le sanzioni di cui all’articolo 216, comma 6” che prevede:

la sanzione pecuniaria da “euro 2.046 a euro 8.186. Si applica la sanzione accessoria del fermo amministrativo del veicolo o, in caso di reiterazione delle violazioni, la sanzione accessoria della confisca amministrativa del veicolo. La durata del fermo amministrativo è di tre mesi, salvo i casi in cui tale sanzione accessoria è applicata a seguito del ritiro della targa”.

È piuttosto evidente che gli oneri previsti in relazione all’utilizzo delle auto immatricolate all’estero sono tali da dissuadere chiunque dall’offrire ed accettare il prestito di un veicolo immatricolato in un altro Stato membro (v., in tal senso, ordinanza del 10.9.2020, Wallonische Region – Immatricolazione di un veicolo concesso in comodato – da C-41/20 a C-43/20, non pubblicata, EU:C:2020:703, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

Anche la nuovissima norma viola quindi le normative europee e come accertato e dichiarato dalla CGUE non vi sussistono motivi imperativi e di interesse generale, affinché la suddetta violazione possa essere ammessa ed in sostanza neanche ragionevoli motivi. Si ritiene quindi che Italia debba essere invitato a rivedere nuovamente la propria posizione e/o debba essere avviato procedimento d’infrazione nei suoi confronti.

  1. LA NORMA IN ESAME ED ANCHE IL NUOVO ART. 93-BIS RISULTA IN CONTRASTO ANCHE CON LA CARTA COSTITUZIONALE, CON LO STATUTO DEL CONTRIBUENTE E CON DELLE CONVENZIONI INTERNAZIONALI:

Il nuovo comma 1-bis dell’art. 93 del CDS risulta inoltre palesemente incostituzionale, nonché in contrasto con lo Statuto del Contribuente e con delle Convenzioni Internazionali.

Ad avviso della scrivente risultano, quindi, essere violati i seguenti previsioni della Costituzione Italiana, esposti in ordine degli articoli:

Art. 3 della Costituzione:

Con la norma in esame viola il diritto all’uguaglianza (sostanziale).

1.

Nella maggior parte dei casi, le auto immatricolate all’estero, sono utilizzate in Italia da persone aventi doppia residenza, una in Italia (a volte anche solo di fatto) ed un’altra nel proprio paese di provenienza. Dette persone si trovano spesso in Italia per ragioni economiche, cioè, al fine di reperire un reddito, pertanto, non si tratta di persone benestanti. Le suddette persone hanno però assoluta necessità di un veicolo con cui spostarsi, non possono, di certo, disfarsi delle proprie autovetture (cioè di condurle all’estero).

La norma contestata in questa sede prevede una immediata ed obbligatoria immatricolazione delle suddette auto in Italia, ma è altresì chiaro che l’immatricolazione comporta dei rilevanti costi (per es. le spese d’immatricolazione, una nuova polizza assicurativa senza classe di rischio, etc…) che ammontano a circa € 2.000,00 – ovviamente da versare nell’immediatezza.

Considerato che la norma non prevede una eccezionale “procedura d’immatricolazione gratuita” del mezzo in Italia ed un termine ragionevole per l’immatricolazione entro il quale le auto in questione possano essere regolarizzate, si considera che detta norma violi il diritto all’uguaglianza (sostanziale) delle persone, costringendole a sopportare delle spese inutili. A tal fine si fa inoltre presente che il mezzo resta sempre intestato allo stesso proprietario e non si è di fronte ad un “trapasso”, ma le spese sono incomprensibilmente quelle previste per il “trapasso”. Lo stesso ragionamento potrebbe essere applicato alla polizza assicurativa che ingiustamente non può restare valida, nonostante l’auto rimanga la stessa, semplicemente perché acquisirà targa italiana.

2.

L’art. 3 risulta violato altresì perché, la norma in esame permette, secondo il comma 1-ter, la circolazione con mezzi immatricolati all’estero, da parte di residenti da oltre 60 gg in Italia, nel caso in cui il mezzo è “concesso in leasing o in locazione senza conducente da parte di un’impresa costituita in un altro  Stato membro dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo che non ha stabilito in Italia una sede secondaria o altra sede effettiva, nonché nell’ipotesi di veicolo concesso in comodato  a  un  soggetto residente  in  Italia  e  legato  da  un  rapporto  di  lavoro  o  di collaborazione con un’impresa costituita in  un  altro  Stato  membro dell’Unione europea o aderente allo Spazio economico europeo che  non ha stabilito in Italia una sede secondaria od altra  sede  effettiva”. E’ permessa quindi la circolazione solo ed esclusivamente nel caso in cui i mezzi sono intestati ad aziende e non anche a persone fisiche e da quest’ultime ceduti in locazione e/o comodato d’uso a soggetti residenti in Italia. Anche per questa ragione si ritiene palese il carattere discriminatorio della norma.

3.

La norma è altresì discriminatoria perché omette di precisare e permettere la circolazione con il mezzo immatricolato all’estero da parte di persona residente in Italia, nel caso in cui il proprietario e/o detentore dello stesso residente all’estero si trovi a bordo del mezzo.

4.

La norma viola l’art. 3 anche perché un parente, amico etc…residente all’estero, del residente in Italia, non ha la possibilità di concedere la guida del proprio mezzo (a titolo di cortesia) al residente in Italia. E’ del tutto assurdo!!! Non è, pertanto, concepibile che il divieto venga stabilito sulla base della residenza del conducente, ma ciò può e potrebbe essere stabilito solo ed esclusivamente sulla base della residenza del proprietario del mezzo.

Artt. 10, 11 e 117 della Costituzione:

Secondo i suddetti articoli le norme italiane devono essere in perfetta sintonia con le normative internazionali ed europee, se risultano in contrasto, oltre che inapplicabili sono anche incostituzionali – come meglio spiegato al punto 2).

Art. 77 della Costituzione:

Secondo il succitato articolo “in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge”.

Nel caso in esame non risulta ravvisabile alcuna necessità urgente, pertanto, solo ed esclusivamente il Parlamento avrebbe potuto legiferare in relazione all’argomento di cui al succiato art. 93 del CDS. La precedente versione della norma conteneva già un divieto da parte del residente in Italia di circolare in Italia con mezzi immatricolati all’estero ed allo stesso intestati. Inoltre, grazie alla collaborazione e cooperazione fra gli Stati membri e conseguente regolare scambio di dati dei rispettivi cittadini, anche fiscali, le contravvenzioni venivano e vengono regolarmente notificati anche all’estero.

Vi è di più, proprio perché il proprietario risulta residente in Italia, tali contravvenzioni possono essere regolarmente notificate anche in Italia. Se il soggetto che ha commesso una violazione al CdS risulta insolvente con targa estera lo risulterà anche con la targa italiana. Inoltre, se si trattasse di una questione fiscale, sarebbe stato sufficiente notificare al soggetto residente in Italia cartella di pagamento, in relazione alla differenza della tassa automobilistica già pagata all’estero e da pagare in Italia. La verità è invece che gli unici beneficiari delle nuove previsioni sono solo le Compagnie di Assicurazione e non anche lo Stato Italiano. Per tale ragione si considera che la norma in esame non abbia alcun carattere di urgenza, pertanto, nel caso in esame, il Governo non avrebbe potuto assolutamente legiferare.

Art. 3 dello Statuto del Contribuente:

Lo Statuto del Contribuente nella gerarchia delle normative interne si trova immediatamente dopo la Costituzione, per tale ragione, le leggi, D. Lgs., D. L. devono assolutamente conformarsi allo stesso. Nel caso dell’art. 93 del CdS così non è. Secondo l’art. 3 dello Statuto del contribuente “Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono. In ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti”.

Con la disposizione contenuta nell’art. 3, primo comma, il legislatore ha voluto tutelare il legittimo affidamento del contribuente, riaffermando, in termini impliciti, il principio generale della certezza del diritto. Sempre l’art. 3 contiene un’ulteriore disposizione di indubbio interesse poiché si prevede che per i tributi periodici, di norma quelli computati ad anno solare, le modifiche produrranno effetti solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso nel momento in cui la modifica è approvata e comunque mai prima dal sessantesimo giorno dalla data della sua entrata in vigore.

La norma in esame introduce la tassa automobilistica per soggetti che prima non erano obbligati al versamento, per tale motivo, la correlata immatricolazione delle auto in Italia poteva essere prevista non prima del periodo d’imposta successivo. Per tale motivo la norma risulta violare anche l’art. 3 dello Statuto del Contribuente.

Art. 4 dello Statuto del Contribuente:

L’art. 4 dello Statuto del Contribuente prevede che non si possano disporre con decreto-legge nuovi tributi. In tal modo si provvede ad integrare la disposizione dell’art. 77 della Costituzione prevedendo, limitatamente alla materia fiscale, ulteriori limiti circa l’utilizzo di questo atto normativo con forza di legge. L’introduzione dell’art. 4 appare quindi di grande utilità istituzionale anche perché riconoscendo al solo Parlamento la possibilità di introdurre nuovi tributi, implicitamente affermando il principio già conosciuto in altri ordinamenti del “no taxation without rapresentation”. La suddetta normativa anche se indirettamente prevede la assoggettabilità a determinate persone (persone che hanno concesso la guida della propria autovettura ad un soggetto residente da almeno 60 gg in Italia) e/o beni ad un tributo (tassa automobilistica) e pertanto detta previsione non può essere assolutamente introdotta con decreto-legge.

Convenzioni tra gli Stati contro la doppia imposizione – Modello OCSE e art. 2 del D.P.R. n. 917/1986 (TUIR):

La norma viene qualificata quale norma contro “l’esterovestizione delle autovetture”. La residenza fiscale delle persone fisiche in Italia viene determinata secondo l’art. 2 del D.P.R. n. 917/1986 (TUIR), il quale stabilisce che ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti nello Stato le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta:

    1. sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente,
    2. hanno la residenza o
    3. il domicilio nel territorio dello Stato ai sensi del codice civile.

Si sottolinea, la residenza (effettiva o anagrafica) in Italia, al fine della determinazione della residenza fiscale in Italia, deve sussistere, per la maggior parte del periodo d’imposta, pertanto, per almeno 183 gg all’anno e sicuramente non sono sufficienti 60 gg, affinché si possa pretendere una imposta in capo ad un soggetto. Inoltre, al fine di evitare la doppia imposizione, gli Stati hanno sottoscritto una Convenzione contro la doppia imposizione – Modello OCSE, stabilendo degli specifici criteri per la determinazione del paese in cui dovrà avvenire l’imposizione. Detta convenzione si allinea perfettamente alle previsioni nazionali e richiede la “residenza” (centro d’interessi) per la maggior parte del periodo d’imposta nel paese che applica l’imposta. Per tale motivo, come detto, la residenza per soli 60 gg in Italia, non può di certo comportare alcun obbligo ed alcuna imposizione.

Per tale ragione si ritiene che la norma possa violare la suddetta Convenzione internazionale, pertanto, ex artt. 10 e 11 della Costituzione, risulta anche incostituzionale.

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