Ordinanza n. 16634/2018 della Suprema Corte – Presidente: Iacobellis Marcello – Relatore: La Torre Maria Enza – Data pubblicazione: 25/06/2018
La corretta individuazione della residenza fiscale è di essenziale importanza, poiché il soggetto fiscalmente residente in Italia ha l’obbligo di far tassare nel nostro Paese tutti i redditi, realizzati ovunque nel mondo (in base al principio del “world wide taxation”), mentre il soggetto non residente deve sottoporre a tassazione in Italia solo i redditi che ha prodotto nel nostro territorio. La Suprema Corte, con la suddetta recentissima pronuncia, in relazione alla determinazione della residenza fiscale, conferma e non si discosta dal criterio formale (ex art. 2, comma 2, del DPR. n. 917/1986 – TUIR), secondo cui, le persone iscritte nelle anagrafi della popolazione residente sono, quindi, soggetti passivi IRPEF in Italia. Il trasferimento della residenza all’estero non rileva fino a quando non risulti la cancellazione dall’anagrafe del Comune italiano. L’iscrizione all’AIRE non é di per sé sufficiente per escludere la residenza fiscale in Italia, ma l’omessa iscrizione (in base al suddetto criterio formale) fa si che i redditi del contribuente (anche formalmente e di fatto residente all’estero) vengano tassati in Italia. In ogni caso, al fine di evitare la doppia imposizione gli Stati hanno sottoscritto una Convenzione (contro la doppia imposizione – Modello OCSE), stabilendo degli specifici criteri per la determinazione del paese in cui dovrà avvenire l’imposizione.
FATTO
L’Agenzia delle entrate ricorreva per la cassazione della sentenza della CTR della Puglia, che su impugnazione da parte del contribuente di avvisi di accertamento sintetico, ex art. 38 comma 4, d.p.r. 600/73, per IRPEF anni 2007 e 2008, ha respinto l’appello dell’Ufficio, confermando la sentenza di primo grado. La CTR, in fattispecie di omessa dichiarazione in presenza di attività fiscalmente rilevante compiuta dal contribuente sul territorio italiano, ha ritenuto dimostrata la residenza del contribuente fin dal 2006 nel Regno Unito, dove svolgeva la propria attività lavorativa, pagando le relative imposte, ritenendo ininfluenti sia la residenza fiscale in Italia – quale strumento presuntivo di per sé inidoneo a giustificare l’accertamento – sia la tardiva iscrizione all’AIRE e la qualifica di legale rappresentante di una Spa, carica rivestita dal contribuente in periodo successivo a quello oggetto di accertamento (2009).
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con unico motivo l’Agenzia delle entrate deduceva violazione dell’art. 38, commi 4, 5, 6, d.p.r. 600/73, per non avere la CTR considerato l’omessa presentazione della dichiarazione, pur in presenza di attività fiscalmente rilevanti svolte dal contribuente in Italia, in mancanza di iscrizione all’AIRE (avvenuta successivamente, nel 2014).
Il motivo veniva considerato fondato, in quanto i soggetti residenti fiscalmente in Italia devono provvedere ad inserire nella propria dichiarazione dei redditi anche i redditi esteri che ottengono durante il periodo d’imposta. Ai sensi dell’ art. 3 del TUIR, “L’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 10 (…) e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato.”
In base a quanto indicato dalla norma, i soggetti residenti fiscalmente nel territorio dello Stato sono tassati per i redditi ovunque prodotti. La definizione di residenza fiscale, ex art. 2 del TUIR, dispone infatti che che: “ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle Anagrafi della Popolazione Residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice Civile”.
La Corte dava pertanto seguito alla propria giurisprudenza (n. 21970 de/ 2015), secondo cui, le persone iscritte nelle anagrafi della popolazione residente si considerano, in applicazione del criterio formale dettato dall’art. 2 d.p.r. 917/1986, in ogni caso residenti, e pertanto soggetti passivi d’imposta, in Italia; con la conseguenza che, ai fini predetti, essendo l’iscrizione indicata preclusiva di ogni ulteriore accertamento, il trasferimento della residenza all’Estero non rileva fino a quando non risulti la cancellazione dall’anagrafe di un Comune italiano (v. Cass. 677/15, 14434/10, 9319/06).
Con l’unico motivo del ricorso incidentale il contribuente lamentava la mancata declaratoria della inammissibilità dell’appello dell’Ufficio per mancanza di specificità dei motivi, ex art. 53 d.lgs. 543/92. Il ricorso incidentale veniva dichiarato inammissibile per carenza di autosufficienza, non riportando i motivi di appello e le asserite corrispondenti argomentazioni delle eccezioni disattese dal giudice di primo grado, non consentendo a questo giudice di valutarne la coincidenza e la mancanza di elementi di critica alla sentenza impugnata.
Veniva conseguentemente accolto il ricorso principale e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale condizionato; la sentenza impugnata veniva cassata, con rinvio alla CFR della Puglia, in diversa composizione, anche per le spese di giudizio.
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