Cassazione Civile Sent. Sez. 5 n. 11872 del 12.5.2017 – Presidente: BIELLI STEFANO – Relatore: FUOCHI TINARELLI GIUSEPPE
Stock lending e deducibilità dei costi: la Sezione Tributaria della Suprema Corte ha affermato che l’operazione di “Stock Lending” (o usufrutto di azioni) è una operazione finanziaria con la quale viene concesso il diritto a percepire i dividendi distribuiti da un’altra società a fronte di un corrispettivo comprensivo del valore attuale dei flussi futuri di utili. Il cedente, pertanto, percepisce anticipatamente l’entità del dividendo sotto forma di corrispettivo per la cessione dell’usufrutto. L’usufrutto di azioni è soggetta ai limiti previsti dall’art. 109, comma 8, TUIR, il versamento della commissione, pertanto, è un costo indeducibile.
FATTI
L’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento nei confronti della … Srl e della … Spa, la seconda quale società controllante, con cui disconosceva la deducibilità dell’erogazione di € 120.000,00 per l’anno 2005 a favore dell’Associazione “…”, per non aver quest’ultima mai svolto l’attività di assistenza prevista dallo Statuto, nonché la deducibilità delle commissioni per il complessivo importo di € 1.036.685,49, in reazione a due contratti di Stock Lending stipulati con una società ceca, la … s.r.o.
La CTP di Napoli, sul ricorso delle contribuenti, annullava l’atto impositivo; la decisione, peraltro, sul ricorso dell’Agenzia delle entrate, era riformata dalla CTR con la sentenza in epigrafe. Le contribuenti proponevano ricorso per cassazione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La vicenda ha ad oggetto la stipula di un contratto denominato Stock lending agreement tra la società … Srl e la società … s.r.o. di Praga.
Questa figura contrattuale consiste in un prestito di titoli contro pagamento di una commissione (fee) e contestuale costituzione da parte del mutuatario (borrower) di una garanzia (rappresentata da denaro o da altri titoli di valore complessivamente superiore a quello dei titoli ricevuti in prestito), chiamata Collaterale, a favore del mutuante (lender), a garanzia dell’obbligo di restituzione dei titoli ricevuti.
Alla scadenza il mutuatario restituisce al mutuante altrettanti titoli della stessa specie e quantità dei titoli ricevuti e il mutuante ritrasferisce al mutuatario i beni oggetto della garanzia. Se il collaterale è costituito da cash, il lender ha il dovere di remunerarlo al borrower ad un tasso di mercato. Se invece il collaterale fornito è non-cash non viene richiesta alcuna remunerazione.
Ulteriore caratteristica è costituita dalla necessità che il rapporto esistente tra valore dei titoli mutuati e valore dei beni posti a garanzia rimanga inalterato durante l’operazione: entrambe le parti sono obbligate ad integrare la garanzia originariamente prestata (in caso di apprezzamento dei titoli oggetto del prestito) o a restituire l’eccedenza (in caso di deprezzamento).
I vantaggi e l’utilità economica si correlano ad esigenze quali l’esercizio dei diritti non economici derivanti dalle azioni ovvero, nell’ambito delle operazioni di borsa, nel consentire al prestatario di ottenere in prestito valori mobiliari al fine di procedere alla liquidazione dei contratti aventi ad oggetto i valori medesimi, senza, tuttavia, assumere ulteriori rischi di mercato rispetto a quelli già presenti in portafoglio mantenendo inalterata la flessibilità nella gestione dell’investimento.
Secondo la Suprema Corte, l’operazione posta in essere dal contribuente, incontra, come contestato dall’Agenzia delle Entrate, i limiti posti dall’art. 109, comma 8, del D.P.R. n. 917 del 1986, che costituisce l’autentico fondamento del recupero a tassazione. Nella formulazione vigente ratione temporis il comma 5 dell’art. 109 del D.P.R. 917 cit. prevede: “5. Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto di cui ai commi 1, 2, e 3 dell’articolo 96. Le plusvalenze di cui all’articolo 87, non rilevano ai fini dell’applicazione del periodo precedente.“
Il successivo comma 8, poi, dispone: “8. In deroga al comma 5 non è deducibile il costo sostenuto per l’acquisto del diritto d’usufrutto o altro diritto analogo relativamente ad una partecipazione societaria da cui derivino utili esclusi ai sensi dell’articolo 89“.
Secondo l’art. 89 (sui dividendi ed interesse) del DPR n. 917/1986 “2. Gli utili distribuiti, in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione, anche nei casi di cui all’articolo 47, comma 7, dalle società ed enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a), b) e c) non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito della società o dell’ente ricevente per il 95 per cento del loro ammontare”.
L’usufrutto di azioni è una operazione finanziaria con la quale viene concesso il diritto a percepire i dividendi distribuiti da un’altra società a fronte di un corrispettivo comprensivo del valore attuale dei flussi futuri di utili. Il cedente, pertanto, percepisce anticipatamente l’entità del dividendo sotto forma di corrispettivo per la cessione dell’usufrutto e il cessionario inscrive in bilancio, nell’attivo patrimoniale immateriale, il corrispondente onere.
L’art. 109, comma 8, cit., dispone l’indeducibilità tributaria del costo così sostenuto quando vengano in rilievo partecipazioni societarie da cui derivino utili esclusi da tassazione: individua, in altri termini, un parallelismo tra la deducibilità del costo dell’usufrutto su azioni e l’imponibilità dei dividendi derivanti dalla sottostante partecipazione.
Nel contratto di Stock Lending, corrispondentemente, il prestito dei titoli si associa al diritto di percepire i relativi dividendi da parte del mutuatario, mentre il mutuante ha diritto al pagamento di una commissione in relazione al dividendo incassato.
Come nell’usufrutto di azioni, infatti, il contratto di Stock Lending trasferisce (temporaneamente) la titolarità del diritto al dividendo e per ottenere la relativa riscossione è previsto un costo. Il fenomeno economico, dunque, è lo stesso, senza che assuma rilievo, ai fini tributari (gli unici che qui rilevano non essendovi la necessità di una declinatoria civilistica sul contratto), la circostanza che nell’un caso si verta su un diritto reale e, nell’altro, in un diritto di credito.
Ciò che conta, del resto, è solo che ad un’analisi economica e giuridico tributaria oggettiva e sostanziale il contratto si dimostri del tutto eccentrico rispetto alle norme sulla deduzione delle quote di ammortamento e sul credito di imposta sui dividendi. Parimenti, pertanto, i costi sostenuti (i.e. la commissione) per l’operazione di Stock Lending debbono ritenersi indeducibili.
Né tale soluzione configura una impropria estensione analogica del dettato della norma, che si riferisce esplicitamente e letteralmente “ad altro diritto analogo”, senza ulteriori connotazioni, sicché non va intesa come meramente confinata ai soli diritti reali (interpretazione che, del resto, avrebbe una valenza abrogatoria), non deponendo in tal senso né la lettera, né lo spirito della disposizione.
È poi irrilevante che la condotta, come ravvisato incidentalmente in una fattispecie omologa dalla Terza sezione penale della Corte di cassazione (sentenza n. 40272 del 2016), possa anche essere ricondotta, in relazione al nuovo art. 10 bis dello Statuto del contribuente, all’abuso del diritto, trattandosi, in ogni caso, di disposizione entrata in vigore in epoca successiva ai fatti qui in esame.
Va, pertanto, affermato il seguente principio di diritto: “In tema di imposte sui redditi, l’operazione di Stock Lending, ossia di prestito di azioni che preveda a favore del mutuatario il diritto all’incasso dei dividendi dietro versamento al mutuante di una commissione (corrispondente o meno all’ammontare dei dividendi riscossi), realizza il medesimo fenomeno economico dell’usufrutto di azioni, senza che rilevi, ai fini tributari, che nell’un caso si verta su un diritto reale e, nell’altro, su un diritto di credito, sicché è soggetta ai limiti previsti dall’art. 109, comma 8, TUIR, restando il versamento della commissione costo indeducibile”.
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