Come impugnare il licenziamento illegittimo?
Il Jobs Act stabilisce termini precisi e stringenti entro i quali possono essere impugnati tutti i provvedimenti di risoluzione unilaterale del contratto di lavoro (licenziamento).
Rimaste immodificate le previsione dellaLegge Fornero del 2012, la lettera di licenziamento deve essere contestata al datore di lavoro entro il termine di 60 giorni dalla ricezione o notifica della lettera stessa (tentativo di conciliazione obbligatoria).
Successivamente, la nuova normativa stabilisce, invece, ulteriori 270 giorni per il deposito del ricorso giudiziale contro l’atto di licenziamento (a far data non dal termine ultimo per inoltrare la domanda di conciliazione, bensì dal giorno in cui questa è stata effettivamente presentata -come ha recentemente chiarito anche dalla Corte di Cassazione).
Sono diverse le ragioni e le circostanze per cui un datore di lavoro può decidere di porre fine a un rapporto professionale con un proprio dipendente, infatti, a ciascun “tipo” di licenziamento può corrispondere una tutela del lavoratore (in parte) diversa.
Il licenziamenti possono avvenire e sono:
- per giusta causa;
- per giustificato motivo soggettivo;
- economico;
- collettivo.
Sono invece nulli i provvedimenti di destituzione dal servizio mossi da motivazioni di natura discriminatoria – per ragioni di età, sesso, lingua, razza, orientamento sessuale, convinzioni personali e religiose, opinioni politiche, appartenenza a un partito o sindacato, adesione ad uno o più scioperi – ed è altresì impugnabile il licenziamento intimato a voce (la forma scritta è un requisito indispensabile per ogni provvedimento di licenziamento) o non notificato tramite raccomandata A/R o mediante consegna a mano alla presenza di testimoni.
Il licenziamento per giusta causa è il provvedimento che consegue – anche senza preavviso ad alcune condotte particolarmente gravi poste in essere dal lavoratore, specificamente definite dall’art. 2119 del cc:
- Insubordinazione – il rifiuto ripetuto e immotivato di eseguire la prestazione lavorativa;
- Sottrazione di beni aziendali durante lo svolgimento della attività lavorativo;
- Comportamento penalmente rilevante al di fuori dell’attività lavorativa, che fa venire meno la necessaria relazione di fiducia con il datore di lavoro;
- Lo svolgimento durante il periodo di malattia di un’attività lavorativa parallela presso altra azienda o datore di lavoro, in modo tale da pregiudicare la guarigione e il rapido rientro al lavoro;
- Il rifiuto di riprendere l’attività professionale dopo la visita medica che abbia accertato l’insussistenza di uno stato di malattia.
Si definisce licenziamento per giustificato motivo soggettivo quello disposto in reazione ad una violazione commessa dal lavoratore rispetto agli obblighi previsti dal contratto di lavoro.
Esempi di giustificati motivi soggettivi:
- Abbandono immotivato del luogo di lavoro;
- Provocazione di una rissa sul luogo di lavoro;
- Minaccia verso un collega o superiore;
- Reiterata violazione di norme del Codice Disciplinare.
In questi casi (ad eccezione del motivo della reiterata violazione del Codice Disciplinare) è sempre necessario il preavviso da parte del datore di lavoro – che si traduce di solito nel conferimento in busta paga della retribuzione corrispondente al periodo di preavviso
Si parla invece di motivi oggettivi di licenziamento nel caso in cui un’azienda si trova a dover fare a meno di uno o più dipendenti per motivi tecnici relativi alla produzione o alla riorganizzazione del lavoro, per uno stato di crisi aziendale o di bassa liquidità.
Esempi tipici di licenziamento per giustificato motivo oggettivo:
- Chiusura dell’attività;
- Delocalizzazione di alcuni servizi o produzioni;
- Soppressione del posto di lavoro;
- Accorpamento delle mansioni al datore di lavoro.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo che coinvolga un numero di dipendenti pari a 5 o più, è licenziamento collettivo e segue una procedura specifica per il datore di lavoro.
Risarcimento del lavoratore ingiustamente licenziato. Indennità e reintegro.
Il lavoratore che vince una causa contro il provvedimento di licenziamento, come previsto dal Jobs Act ha la possibilità di reintegro sul posto di lavoro prevista dallo “storico” art. 18 della Legge 300/’70 (c.d. Statuto dei Lavoratori).
Tale forma di tutela è venuta meno per tutti gli assunti dal 1.1.2015 con contratto a tempo indeterminato e per coloro che da questa data hanno visto trasformato il proprio contratto di apprendistato o di lavoro a tempo determinato in un rapporto a tempo indeterminato, i quali abbiano subìto un licenziamento economico, collettivo o formalmente viziato (ex. per mancanza della motivazione nella lettera di licenziamento).
L’art. 18 resta invece valido per le vecchie assunzioni, e il reintegro è comunque confermato in tutte le ipotesi di licenziamenti discriminatori, intimati in forma orale o disciplinari nulli (per insussistenza del fatto contestato).
Negli altri casi, dunque, è previsto il pagamento da parte del datore di lavoro di un’indennità crescente commisurata all’anzianità di lavoro.
La legge, tuttavia, non preclude la possibilità per i singoli lavoratori dipendenti di ottenere dal proprio datore un trattamento di maggior favore in deroga alla disciplina comune.
Avv. Marco Cadeddu – giuslavorista –